Munera 3/2018 – Bernard N. Schumacher >> È forse morta la morte?

«Sono nato in un mondo che cominciava a non voler più sentir parlare della morte e che oggi ha raggiunto i suoi scopi senza comprendere che si è di colpo condannato a non sentir più parlare della grazia». Il poeta francese Christian Bobin intuisce che la pretesa contemporanea che l’individuo basti a sé stesso, nel contesto di una volontà di controllo, rifiutando di lasciarsi toccare dalla sofferenza, dalla malattia, e ancora più dalla morte, negando in questo modo la sua vulnerabilità, implica la perdita della sua capacità di percepire il reale, e sé stesso, come una realtà donata, gratuita. Che strana affermazione! E se il poeta avesse ragione?

L’attitudine contemporanea nei confronti della morte, percepita come un affronto e uno scandalo terribili, si caratterizza per la negazione della sua realtà e per il tentativo di controllarla. Questa è la risposta che propongono due filosofi, Epicuro e Martin Heidegger, il cui il pensiero impregna la cultura occidentale a riguardo della morte: entrambi accettano con una certa umiltà i limiti naturali, il fatto di essere mortali, ma si concentrano su come vivere bene il presente. Un’altra risposta è però possibile: non si tratta più di sottomettersi alla morte, ma di attaccarla frontalmente. Questo è ciò che propongono i sostenitori del transumanesimo, i quali proclamano che la morte non è che un incidente all’interno del processo del vivente, che essa non è, in breve, che un difetto organico: si può guarire dalla morte.

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