Munera 3/2020 – Giovanna Caltagirone >> Della resurrezione dei corpi mediante la parola

In questi ultimi mesi, l’obbligata, drammatica, focalizzazione sul corpo umano, nella sua estensione nel sociale e nella rimossa natura, risarcisce dalla marginalità una delle direzioni fondanti della ricerca femminista nei diversi ambiti del sapere: dalla scienza, all’economia, all’arte.

L’intrinseca “pietà” rispetto a usi e abusi del corpo femminile, unita alla lungimiranza politica delle donne, che ne chiedono il risarcimento, ha alimentato ogni discorso sulla specificità di genere, proprio a partire dalla rappresentazione della fisicità.

Quanto era nelle intenzioni (ci si illude di analizzare un testo ma si parte da più lontano, da un sé culturale) si conferma l’interesse primario di questo minimo saggiare alcune opere letterarie a statu- to misto (non infrequente e significativo nelle scritture di genere): romanzo-memoria-riflessione intima-saggio. Il criterio selettivo pro- grammatico si attestava su scrittrici cattoliche, ben subito si è però imposta, come denominatore comune e sovrastante, l’interrogazione sofferta e ben nota sulla doppia appartenenza: di genere e di fede, nella Chiesa come già nel credo politico e ideologico. Senza dimenticare che la “modernità” si radica nell’inquietante interrogativo preteso da due corpi nudi di donna: quelli di Olimpia di Manet (1863) e di Nana di Zola (1876; 1879).1 Insomma, la corporeità è molto più che un tema, sia pure bruciante, da rinvenire in una piccola selezione di testi accomunati dal genere femminile delle autrici e dalla loro appartenenza a una fede religiosa, piuttosto ci appare l’immagine da sempre irrisolta della letteratura e della cultura occidentali.

Nonostante l’inclusione della donna nel novero delle creature “liberate” dal Cristo, la Chiesa, più che mantenerne e svilupparne le premesse, storicamente le ha piuttosto scavalcate; in tale ottica, ha scarsamente problematizzato le controverse posizioni dell’apostolo Paolo, più sbrigativamente ha alimentato una concezione essenzialista del genere, ereditata dalla cultura classica, dunque orientata sulla inferiorità derivante dalla “sostanza” femminile più che sulla differenza.

L’individuazione di un’inadeguatezza e insufficienza concettuale, relative all’ingombrante presenza delle donne all’interno della storia e dell’attuale realtà della Chiesa, è l’approccio che accomuna i testi qui proposti a campione: Michela Murgia, Ave Mary; Mariapia Veladiano, Lei e La vita accanto; Rosa Matteucci, Lourdes; Susanna Tamaro, Va’ dove ti porta il cuore. Sensibili testimonianze provenienti dal sostrato consolidatosi da decenni nella vita della Chiesa, dietro l’impulso della sua componente più numerosa: quella femminile, dalla base alle teologhe, intelligentemente attiva e consapevole sul fronte del cambiamento.

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