UNA PROPOSTA PER TUTTI: VIVERE LE NOSTRE CHIESE IN CITTA’


Formella dell’altare d’oro di Volvinio nella basilica di S. Ambrogio, Milano – Ambrogio fugge da Milano per sottrarsi all’incarico di vescovo, ma lo ferma la mano di Dio e vi torna.

UNA PROPOSTA PER TUTTI: VIVERE LE NOSTRE CHIESE IN CITTA’

A partire da questo primo messaggio, si vuole offrire, alla riflessione comune e ad un possibile dibattito, l’esperienza tuttora in corso avviata dal Meic milanese a partire dal 2021. Con la stessa semplicità con la quale il percorso si è messo in moto e si è sviluppato, lo si vuole qui riproporre in sintesi nelle sue tappe. Se susciterà interesse, potranno emergere ulteriori approfondimenti, i più vari e non prevedibili.

 

Genesi dell’esperienza – Vivere la celebrazione della Messa e dei Primi Vespri avendo consapevolezza dei valori dell’edificio-chiesa in cui ci si trova, dei legami tra liturgia, luogo, messaggio predicato dal sacerdote e canto di un coro attento alla tradizione ambrosiana; essere partecipi alla celebrazione, con attenzione di mente e cuore; dedicare tre sabati pomeriggio di un intero anno ad una condivisione di preghiere, canti, sguardi, pensieri: questa è l’esperienza di un gruppo di amici, sviluppata con il contributo organizzativo di Monica Rimoldi, di introduzioni brevi e incisive di un liturgista, Girolamo Pugliesi, di due architetti che si occupano da tempo degli edifici-chiese, Maria Antonietta Crippa e Carlo Capponi, oltre che della guida di don Luigi Galli e del prezioso contributo del coro Aurora Totus.

L’orizzonte più ampio nel quale l’esperienza si inserisce è quello del cammino sinodale che la Chiesa italiana ha intrapreso, in esso quello della grande domanda di cosa significhi essere Chiesa ed esserlo oggi, assunta con atteggiamento non intellettualistico, né estetizzante o meramente culturale.

Il gesto ha richiesto e richiede di essere preparato con cura ogni volta. Il suo scopo è quello di consentire un incontro di fede in una chiesa parrocchiale milanese, innanzi tutto tra i partecipanti ma aperto anche all’intera parrocchia ospitante, offrendo una sorta di breve ‘catechesi’, itinerante di chiesa in chiesa, radicata in una comunità orante e celebrante.

Alcuni presupposti hanno consentito e consentono uno svolgimento sereno del gesto. In primo luogo l’ospitalità delle parrocchie e l’attenzione di parroci, di sacerdoti e di membri delle comunità. Fondamentale è stata inoltre ogni volta la cura per la celebrazione della Messa e delle preghiere da parte di tutti. Si è inoltre percepito, sempre intensa e amicale, una sincera curiosità nei confronti dei legami tra edificio e liturgia.

I relatori hanno reso il più possibile esplicita la comune convinzione di una intrinseca corrispondenza tra chiesa come edificio e celebrazione liturgica. Inoltre, hanno proposto ogni visita come occasione per rinnovare la comprensione di questa inerenza, libera da preoccupazioni tipologiche bensì aperta alle caratteristiche di luogo e di specifici accenti del rito.

Questi punti di vista hanno consentito di vivere il gesto comune in chiese contemporanee e in chiese antiche, liberi da contraddizioni e da condizionamenti dovuti alle complesse stratificazioni di trasformazione degli edifici di culto. Non si sono nascoste neppure le insufficienti attenzioni al rito da parte dell’architetto e della committenza. Si è dunque mirato a lasciare lo spazio al riverbero interiore di ognuno dell’esperienza comune, senza pretese di discorsi eccessivamente specialistici. La storia del luogo e della liturgia, la loro evidenza corporeamente partecipata, l’armonia del rito curato con semplicità hanno guidato i vari incontri.

Alcuni semplici criteri per entrare nelle ragioni d’architettura di una chiesa cattolicaLa chiesa è uno dei tanti temi propri dell’architettura. In tutti i suoi temi essa deve rispondere concretamente a due livelli di senso, ognuno dei quali assomma più temi: quello del progettare/costruire e quello dell’abitare. Per queste caratteristiche l’architettura risulta essere mondo umano per eccellenza, dimora indispensabile all’uomo per abitare con sicurezza la terra.

Il livello primo esige competenze molto specifiche e ha conseguenze importanti sul secondo, implica inoltre competenze proprie di esperti; il secondo invece riguarda tutti gli uomini, di tutte le età, in tutte le culture; ha profonde connessioni con i più vari modi di vita, feriali e festivi, civili e religiosi, nelle trame di relazioni sociali a più scale, da quelle di base, famigliari, alle realtà di popolo e di nazione. I due livelli presentano inoltre caratterizzazioni storico geografiche peculiari: ogni architettura infatti sta entro borghi, città, paesaggi costruiti/modificati dagli uomini per la loro abitabilità.

Dalla metà circa del XIX secolo questi due livelli, così come sono emersi entro la cultura che si è soliti chiamare occidentale, hanno avuto notevoli influssi su tutte le altre culture del mondo. La situazione che il processo ha generato ha messo allo scoperto un grande paradosso: la tendenziale omogeneità progettuale/costruttiva, oggi diffusa a scala planetaria, coesiste con una enorme varietà di mondi umani, più o meno memori di proprie tradizioni abitative.

Trattando di chiese, edifici per i riti e la liturgia cattolica, ci si occupa prevalentemente del secondo livello, quello dell’abitare, per scopi però peculiari distinti dai luoghi che rispondono alle esigenze della condizione residenziale e di quella lavorativa.

In una chiesa parrocchiale, una comunità, locale e unita alla Chiesa dell’intera Diocesi, vive i ritmi feriali e festivi della liturgia in unità di spazi e tempi, in solidarietà di rapporti non privi di momenti di religiosità individuale. Solo per comodità operative – che danno luogo a varie competenze disciplinari – vengono distinti i due ‘mondi’, quello architettonico e quello liturgico. Nella realtà l’esperienza liturgica è anche esperienza di luogo stabile e ordinato allo scopo, se definito in architettura.

I due mondi ‘operativi’, dell’architettura e della liturgia, hanno però ognuno propria storia e proprie peculiarità che si incontrano, dall’inizio della storia cristiana, in un reciproco dialogo sia funzionale che segnico/simbolico. Una chiesa infatti è luogo, è dimora sui generis comunitaria, composta secondo segni che rimandano, in quanto fanno spazio, ai sacramenti. Il suo compito è in parte diverso da quello della liturgia: deve far spazio, proteggere e orientare, cioè dare ordine a modi di vita che le sono dettati dalla liturgia la quale, pertanto, in un certo senso ‘la precede’. Tuttavia essa, da sola – senza progetto/costruzione e senza criteri di agibilità –, non riuscirebbe a definire la stabilità di luogo.

Una messa può essere celebrata in campo aperto; ma se il campo non viene destinato a divenire chiesa, se non lo diviene, il suo valore di segno di comunione non si stabilizza in luogo, in mondo umano o non diventa veramente familiare, amico, solidale con la vita quotidiana ed emergente in essa, nel borgo, nella città, nel paesaggio. L’edificio chiesa attinge dunque alla profondità di senso della vita cristiana, ne segnala la pienezza di incarnazione nella storia.

Per questo può essere molto utile ‘sperimentarne’ le potenzialità vivendo momenti di vita liturgica in varie chiese, con la consapevolezza che non si tratta di esplorare se esiste una corretta ‘dottrina’ progettuale, ma di partecipare con consapevolezza ad una storia della Chiesa e di chiese che vivono tutte un’unica liturgia, in una ospitalità che si trasmette tra generazioni.

In sintesi, l’edificio della chiesa, di matrice ebraico-cristiano (synagogé e ecclesìa hanno lo stesso significato di luogo di convocazione), localizza in quanto segno e luogo il rapporto tra Dio e il popolo che si sente convocato. É segno eminente, proposto a tutti della misteriosa solidarietà di Dio con il popolo che accetta di essere suo; è anche luogo ove la coralità di chi si riconosce nell’unico Dio si rende evidente a ognuno dei suoi membri. É infine luogo con forma concepita per farne emergere nel contesto urbano il senso cristiano della vita, che ha il proprio vertice di comunicazione nel culto pubblico o liturgia, nella quale Dio si fa realmente presenza.

                                          Maria Antonietta Crippa

Come interpretare l’architettura di una chiesa a partire dal punto di vista della liturgia

Innanzitutto, occorre escludere sempre delle letture dottrinali, rubricali ed estetizzanti degli spazi liturgici. Le idee teologiche non fungono immediatamente da base per la strutturazione delle chiese, se non quando manca da parte dell’architetto e dei committenti la consapevolezza di cosa sia una chiesa, riguardo al vissuto liturgico, che è forma originaria della vita cristiana. Anche nell’ambito dell’architettura liturgica partire semplicemente dalle norme per applicarle è troppo svilente sia per l’architettura, sia per la liturgia. Lo sguardo estetizzante, poi, non sa cogliere come la bellezza di una chiesa sia compiuta quando è sperimentata nell’azione liturgica. Lo sguardo estetizzante invece fissa, cristallizza, sa solo contemplare, non sa farsi prendere dal gioco liturgico. Per lo sguardo estetizzante una chiesa e la stessa liturgia sono come elementi di un museo da vedere stando a distanza e immobili.

La parola performance (“portare a compimento”) esprime il senso, invece, di un vissuto che vede compiere qualcosa che non è la semplice somma degli elementi. Per questo occorre partire dai vissuti, dalle azioni: una chiesa è adeguata quando permette che le azioni rituali possano compiersi.

Romano Guardini in una lettera scritta nel 1964, all’indomani del Concilio Vaticano II, a proposito del compito che era stato consegnato dal Concilio, ovvero la riscoperta del senso e del valore fondamentale dell’atto liturgico, scriveva: «In questo atto […] sta non solo l’interiorità spirituale, ma l’uomo come totalità, spirito e corpo. Quindi l’agire stesso è “preghiera”, atto religioso; i tempi, i luoghi, le cose coinvolte non sono decorazioni estrinseche, bensì elementi dell’atto complessivo e dovrebbero essere realizzati come tali»[1].

Qui a mio parere Guardini intercetta il punto di intersezione tra il lavoro di progettazione di una chiesa e il compito di chi si trova a “vivere” una chiesa, a celebrare in essa. Il processo che è richiesto a entrambi è un processo di “scavo”. L’architetto scava alla ricerca di “forme”, che sono le forme che l’edificio avrà: può scavare nel passato, può guardare ad altre chiese contemporanee, ma cosa lo determina a scegliere una forma o un’altra?

La differenza tra architetto e architetto forse risiede proprio nella capacità di discernere tra tutte le forme possibili sulla base di un discernimento profondo, uno scavo ulteriore nell’umano religioso, e in modo particolare dell’umano rituale-cristiano. Ed è qui che l’attività dell’architetto coincide con quella di colui che fruisce di una chiesa. Le forme di una chiesa rivelano a quale profondità di scavo riesce ad arrivare un architetto e mostrano a quale profondità un fruitore riesce ad arrivare.

Non è questione innanzi tutto di ragionamento, non è questione di preparazione intellettuale, in realtà in gioco è il “vissuto”, ovvero l’esperienza liturgica.                     Girolamo Pugliesi

Alleghiamo i programmi dei tre anni

2021-2022 – “Chiese vive”

16/10/2021 Chiesa della Pentecoste – Via C. Perini 27, Quarto Oggiaro – Milano

15/01/2022 Chiesa dei Santi Giovanni e Paolo – Via Catone 10 – Milano

21/05/2022 Santa Maria dei Miracoli presso San Celso – C.so Italia 37 – Milano

2023 – “Chiese vive: stratificazioni”

18/02/2023 Chiesa di San Giorgio al Palazzo – Piazza San Giorgio 2 – Milano

04/03/2023 Basilica di Sant’Eustorgio – Piazza Sant’Eustorgio 1 – Milano

06/05/2023 Chiesa di Santa Maria presso San Satiro – Via Torino 17 – Milano

2024 – “Chiese vive: Luoghi di cura”

10/02/2024 Santa Maria Annunciata presso l’Ospedale San Carlo – Via San Pio II 3 – Milano

09/03/2024 Santuario del Beato Carlo Gnocchi – Via Capecelatro 70 – Milano

04/05/2024 San Giovanni Bono – Via San Paolino 20 – Milano

Nelle prossime uscite (quindicinali) ogni chiesa avrà presentazione architettonica e liturgica. Si premetterà sempre una strofa dell’inno cantato ai Primi Vespri.

[1] R. Guardini, L’atto di culto e il compito attuale della formazione liturgica. Una lettera, in Id., Formazione liturgica, Morcelliana, Brescia 2008, pp. 28-29.

 

 

 

Share