Una tradizione…dei miei stivali


Una Tradizione…dei miei stivali

A Rocca di Papa, a fine agosto, si è tenuta la annuale Settimana dei Professori di Liturgia, dedicata al tema: “Il Concilio Vaticano II e la liturgia: memoria e futuro”. Riproduco qui soltanto l’inizio e la fine della mia relazione.

Liturgia come rivelazione: la lettura liturgica della rivelazione nel rapporto tra Sacrosanctum Concilium e Dei Verbum

“Conciliorum Tridentini et Vaticani I inhaerens vestigiis”
                                                                              (Dei Verbum, 1)

“Oggi muore una società fondata sul primato del ‘logico’… Ecco perché è venuto il momento … non già, come si dice spesso oggi, di ‘cambiare paradigma’, ma di introdurre un altro paradigma e di integrarvi i nostri. L’ipotesi, condivisa da molti e che faccio mia, è che l’epoca attuale ci inviti a reintrodurre il simbolico, vale a dire il primato del legame nella struttura e nella vita del reale, nel desiderio e nel sapere umani”
                              Gh. Lafont, Che cosa possiamo sperare?, Bologna , EDB, 2011, 10-11

Mi si permetta di iniziare questa conversazione con una piccola ironia. Come è noto, nel proemio della Costituzione Conciliare Dei Verbum si trova l’espressione che qui ho utilizzato come primo esergo: “seguendo le orme dei Concili Tridentino e Vaticano primo”. Molto si è scritto su questa espressione, alla quale anche il grande teologo protestante K. Barth ha dedicato un famoso articolo che ha per titolo l’espressione stessa nell’originale latino . Ora, “seguire le orme” è un modo di indicare non solo la “fedeltà”, ma anche il “progresso”. Seguire le orme è tuttavia una operazione più complessa e più insidiosa di quanto non appaia. Mi hanno riferito, infatti, che in Val D’Aosta, nella Val d’Ayas, al confine con la Francia, vi erano un tempo dei contrabbandieri che, per far perdere le loro tracce ai doganieri che presidiavano il confine, calzavano un tipo di stivali “invertiti”, con il tacco al posto della punta e la punta al posto del tacco. Così, “seguendo le loro orme”, gli inseguitori erano portati ad andare fuori strada, addirittura dalla parte opposta rispetto alla giusta direzione. Oggi non manca chi, anche nella Chiesa, ha scoperto le virtù orientative di questi stivali invertiti, con i quali pretenderebbe di condurci non “oltre” il Tridentino e il Vaticano I, ma verso di loro e addirittura al di qua di essi. Questo mio contributo non vuol essere altro che una ragionata messa in guardia verso questi “contrabbandieri” della tradizione, che disorientano la Chiesa. In questo modo vorrei poter garantire soltanto un piccolo servizio all’ordine pubblico ecclesiale.

[…]

Conclusioni

SC e DV concordano su un punto decisivo: libro biblico e libro rituale, il farsi azione e il farsi parola di Dio, stanno all’origine della esperienza di Rivelazione e di fede e si implicano a vicenda: la parola di Dio ha da essere ascoltata religiosamente e la liturgia deve essere fondata sulla Parola di Dio. L’impatto “fondamentale” di DV, tuttavia, è stato molto più studiato rispetto a quello di SC. Questo, per molti versi, era del tutto inevitabile. Una lunga tradizione, infiammatasi da Lutero in giù , aveva considerato questo rapporto tra Scrittura, Tradizione e  Rivelazione una ferita aperta nella identità ecclesiale. Ben diversa e molto più recente era stata la giusta pretesa di riconoscere e constatare una “questione liturgica” che atttraversava da secoli il corpo ecclesiale e di individuare le modalità più adeguate per affrontarla e per superarla. In realtà, all’origine della parola conciliare sulla liturgia, vi è stata proprio la coscienza di questa profonda affinità “fondamentale” tra movimento biblico e movimento liturgico. Onorare la memoria del Concilio consiste sicuramente nell’evitare le ermeneutiche della rottura, ma anche nel tenersi ben lontani da quelle che abbiamo chiamato ermeneutiche della rimozione e della immunizzazione. Tali ermeneutiche sfigurano il Concilio perché lo interpretano non secondo la profezia che lo ha animato, ma secondo la paura che ha suscitato nei profeti di sventura. E così alcuni interpreti lo leggono a partire dal suo passato piuttosto che dal suo futuro. Con questa modalità di lettura del Concilio, essi giungono fino a smentirlo, apertamente e spudoratamente. Soprattutto oggi, avremmo bisogno di una teologia e di una storia della Chiesa che affrontino rispettosamente e oserei dire pudicamente il Concilio Vaticano II, per arginare e confutare troppe letture spudorate e troppe ricostruzioni irrispettose. Questo compito compete anzitutto ai teologi, alla loro parola e alla loro responsabilità. Che il Concilio ci ha dato e che nessuno può toglierci, a meno che non ce la togliamo da soli, come accade oggi fin troppo spesso. Ma la profezia conciliare è irreversibile e contagiosa: per questo ho fiducia che in questo compito non saremo delusi, se non per poco. Prevarrà presto il senso della realtà e quel minimo di dignità per la propria professione che prima o poi ha il sopravvento anche negli spiriti più timorosi. Anzi, questo Convegno dei liturgisti italiani (che ospita preziose voci anche non italiane) è già la prova di un serio cammino di rilettura del Concilio Vaticano II, condotto con coraggio e con pazienza, con pudore e con audacia, come ci si aspetta da una teologia all’altezza di un tale evento, che voglia procedere risolutamente sulle tracce della tradizione, ma con le punte avanti e i tacchi dietro.

Share